“Fiandre, Liegi e Roubaix, non solo ciclismo!” Francesco Occhipinti completa il “trittico” delle classiche del Nord

“Sulla Parigi – Roubaix racconterò molte cose ma al momento le uniche due parole che riesco a dire sono: “mai più”. Fatta! Era questo il primo post, scritto tra fango e pietre, di Francesco Occhipinti, medico, specializzando in oculistica, di Santa Croce Camerina appena uscito indenne dall’”inferno del Nord”.  Con la Parigi – Roubaix di sabato 11 aprile ha chiuso il trittico delle classiche monumento estere iniziato l’anno scorso con Giro delle Fiandre e Liegi Bastogne Liegi. Adesso mancano solo Milano – Sanremo e Giro di Lombardia per poter entrare nel gruppo dei finisher fra gli amatori che hanno corso le 5 classiche monumento. Pedalare sulle strade che sono la storia del ciclismo e sulle quali i grandi campioni delle due ruote hanno scritto pagine indimenticabili. Da brividi per ogni appassionato poter correre in luoghi mitici, che di solito vedi solo in tv, a maggior ragione se vivi in Sicilia. Il primo contatto di Francesco con “le classiche”, infatti, è stato favorito dalla vicinanza territoriale. Lo scorso anno viveva nei pressi Colonia con Mareike e le loro figlie Isabella e Anna, la sua famiglia. “Mi ero allenato discretamente in quel periodo e alla fine non ho resistito alla tentazione di iscrivermi e partecipare al Giro delle Fiandre. I 245 chilometri della Ronde van Vlaanderen, l’Oude Kwaremont”, il Bosberg, il Koppenberg sono stati il mio battesimo del Nord. Da Bruges a Oudenaarde ho tenuto duro sui durissimi strappi in paveè, i cosiddetti “muri”, e devo ammettere che solo sul Koppenberg ho pensato di non farcela ma è andato anche quello, mai messo piede a terra!

Come si suole dire l’appetito vien mangiando e sfruttando ancora lo stato di forma non mi sono fatto sfuggire l’opportunità di correre anche la Liegi Bastogne Liegi, in programma poche settimane dopo il Fiandre. La Doyenne, la più antica delle classiche non ha i muri ma le côtes, ed era anche più lunga come distanza con i suoi 273 chilometri che si districano fra le Ardenne, colline e valli, un mangia e bevi continuo che non da tregua alle gambe. La Redoute, la Côte de Saint-Nicolas o la Roche aux Faucons mi hanno emozionato perché sono luoghi dove si respira ciclismo da sempre. Stringendo i denti e facendoci forza a vicenda con Nico, il mio amico tedesco con cui ho condiviso queste avventure, ho concluso anche la Liegi. L’emozione di gareggiare è stata tanta ma di quel 2014 ricorderò anche la preparazione fatta di uscite in bici sulle strade della Germania con sconfinamenti in Belgio e Olanda, un paesaggio e un clima totalmente diverso da quello ragusano a cui sono abituato. Allenamenti che mi sono serviti per ambientarmi e imparare a guidare anche sulla neve o sul ghiaccio e sul fango”.  

Proprio guardando il fango, quello che è ancora attaccato alla bicicletta con cui ha corso, sabato 11 aprile, la Parigi – Roubaix che racconta quel turbine di emozioni che lo hanno travolto nei 163 chilometri tra Busigny e il velodromo di Roubaix. La partenza da Compiégne è riservata ai professionisti che hanno gareggiato il giorno dopo (grande vittoria di Degenkolb su Stybar e Van Avermaet) ma i tratti in pavè si fanno tutti, e sono 27 settori prima di entrare nel velodromo di Roubaix. “Non è solo ciclismo! Vorrei spiegare: La Parigi Roubaix per un ciclista professionista è una gara e vincerla rappresenta un successo di grande rilievo. Per un cicloamatore è anzitutto la possibilità di “toccare” la storia e misurarsi su un percorso leggendario, durissimo, insidioso ma per questo terribilmente affascinante. Spesso durante la corsa ho pensato fossimo 4500 incoscienti; ci sono stati troppi incidenti e persino delle fratture. Nonostante questo c’è qualcosa di molto forte quanto probabilmente inconscio che spinge il ciclista verso queste mete, come a voler sentire qualcosa, voler sapere qualcosa di più, magari di se stessi. Mi ha colpito ad esempio la storia di Christian, un ragazzo italiano che ha percorso “solo” 40 km di quell’inferno ma a 3 mesi da un intervento al cuore. Nei suoi occhi ho scorto molte cose, ma certamente nessuna incoscienza, anzi. Credo che per chiunque di noi, a modo proprio, la pioggia, il vento, il fango e le pietre per tutte quelle ore siano state un rituale di rinnovamento; ricordarci che siamo proprio vivi, tremendamente”.

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