Cucina Ligure – Il Ricordo

Ero una bambina magrissima e inappetente. Mangiare era un dovere, come il lavarsi dietro le orecchie. La carne era troppo dura da masticare, la verdura troppo viscida o amara, il pesce con troppe spine, la minestra poi… per carità! Povera mamma che, pur lavorando, preparava pranzi e cene (veloci) e si trovava davanti la mia bocca serrata.

Disegno Marcello Ghione

 

Ma (c’è sempre un ma) ho deliziosi ricordi dei cibi delle feste, della domenica, di quando il tempo di cucinare c’era. I cibi erano tutti quelli tipici della mia terra: la Liguria di ponente. Allora sì, che la mia boccuccia dispettosa si apriva e divorava con gusto e senza limiti!

 

La domenica mi svegliavo quasi sempre che il forno era già in azione e ne usciva una fragrante “sardenaira”, che è una focaccia con salsa di pomodoro, aglio, acciughe, capperi, olive e qualche faldina di peperone. Ogni città, ogni villaggio, ha la sua versione e, naturalmente, la chiama a modo proprio “machetusa” ad Apricale, “pisciadela” a Ventimiglia, “piscialandrea” a Imperia e così via. L’importante è non chiamarla pizza, che è una cosa proprio diversa.

 

 In alternativa alla sardenaira compariva la torta di verdura: quella bella sfoglia all’olio che racchiude zucca o carciofi in inverno e zucchine trombette d’estate, rese più intriganti dalla maggiorana.

 

Un altro grande classico dell’estate erano le verdure ripiene: cipolle, peperoni, le famose trombette, i fiori di zucca. Il ripieno era esclusivamente vegetariano, che da noi di carne se ne mangia pochina, con l’immancabile pizzico di maggiorana e la sapidità del parmigiano.   Non riuscivo allora a fermarmi, giù una cipolla, poi una faldina di peperone, ancora un fiore di zucca per favore!  e così via, come fossero ciliegie o caramelle.

 

 

 

 Poca carne da noi, come dicevo, e le poche volte che compare è quella di animali di piccola taglia: pollo, coniglio, agnello.

Il coniglio alla ligure, nel mio caso alla “sanremasca”, è faccenda da nonne. Non so perché, ma la bontà del risultato è direttamente proporzionale all’età (avanzata) della cuoca.

Le nonne trasformano quindi quella carne di aspetto non molto attraente  in una delizia da leccarsi letteralmente le dita. Le erbe aromatiche, il vino, le olive taggiasche e, soprattutto, l’olio di quello buono (cioè il nostro!)  finiscono nella pentola di coccio con cipolle, aglio e coniglio.

Dopo una lunga cottura l’incantesimo è compiuto: profumi di boschi estivi, rimembranze di bacchiature, aromi di cucina di campagna. La carne,  resa morbida e succosa dalla cottura nell’olio, con la spiccata sapidità delle olive e delle erbe,  stimolava anche i più svogliati, mentre noi bambini ci contendevano pezzi dai nomi fantasiosi come “barche e vela” (scapole), “rastrelli” (costine) e inzuppavamo il pane nel sugo ricco di olio di oliva ed erbe.

  

I miei preferiti in assoluto però, erano, e sono, i ravioli. I ravioli liguri, di magro, con quella sfoglia leggera e pallida, dove si mette, al massimo, un uovo (ecco la nostra tradizionale “parsimonia”) e tutte quelle erbette nel ripieno, bietole, borragine, spinaci, ortiche, maggiorana. Lavoro lungo i ravioli, anche quello appannaggio della nonna, che di norma li preparava per Natale o per qualche festa particolare. Sono buoni in tutti i modi, sia all’olio e parmigiano che al sugo di pomodoro, o di carne, o di funghi. Tanto buoni che la nonna era costretta a cacciarmi dalla cucina perché rubavo quelli appena fatti e me li mangiavo così, crudi e deliziosi, rovinandole il conteggio (non so altrove, ma da noi si contano a centinaia).

 

 Sono cresciuta, divenuta adulta e onnivora. Adoro cucinare e ho sperimentato di tutto, ma lo stomaco è molto vicino al cuore e continua a preferire i piatti della mia infanzia, la cucina della mia Liguria, i prodotti della mia terra.

Il mio coniglio alla sanremasca ha un sapore sempre migliore, il che significa che gli anni avanzano e, prima o poi, qualcuno lo ricorderà come il coniglio più buono.

Certamente non ho reso giustizia alla varietà e ricchezza delle ricette. Scriverò un seguito , prima o poi (suspence!), per raccontare le mie scoperte. Una specie di telenovela della cucina ligure, ma, in fondo, questo è proprio un racconto d’amore: per le mie radici, per la mia terra, per quelli per cui cucino.

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