Genova. È una mattinata di metà marzo quando decido di andare a visitare la mostra sull’Espressionismo Tedesco a Palazzo Ducale. È aperta da pochi giorni, ma la mia curiosità è troppo grande per aspettare ancora. Così, mentre un sole già primaverile illumina i tetti della mia Genova, a passo sicuro, attraverso Piazza De Ferrari fino all’ingresso del Ducale. La piccola libreria sulla destra, il bar affollato e l’imponente scalinata di marmo che conduce al primo piano sono già il simbolo di un cuore pulsante… non mi resta che entrare!
E allora eccomi di colpo nella prima sala dove le luci soffuse e un video in bianco nero mi fanno calare in una Germania dei primi del Novecento, fra metropoli desiderose di espandersi in un contesto culturale, industriale e demografico senza eguali.
Espressionismo: un ponte verso il nuovo.
È in questo ambiente che si colloca la nascita del movimento espressionista tedesco, che ha origine dal genio di artisti nuovi, di spiriti liberi. Il 7 giugno del 1905 a Dresda vede la luce il movimento “Die Brücke” (Il Ponte), nome emblematico per esprimere il passaggio fra la pittura classica neoromantica e un nuovo stile che si dedica all’emozione, all’angoscia, al coinvolgimento interiore.
Fin dalla prima sala dove sono esposte le opere vengo attratta dai colori sgargianti, le linee nette e taglienti, le tinte forti e contrastanti. La figura umana, spesso nuda, si alterna a vivaci paesaggi, scene di vita cittadina e interni dai colori caldi. Basta chiudere gli occhi un istante per calarsi in quell’aria di cambiamento così aspra, così cercata da apparire quasi tangibile; è incredibile quanto un’opera d’arte possa trasmettere emozioni e riscoprire in noi qualcosa che ne ha sempre fatto parte.
L’irrequietezza delle opere di Kirchner, la vivacità di Schmidt-Rottluff, i colori contrastanti di Heckel, la grafica di Bleyl, i tratti morbidi di Pechstein, i paesaggi di Nolde.
Mi aggiro rapita tra le sale, prima a passo lento, poi più veloce, il tempo che dedico ad ogni opera non ha nulla di razionale. Ogni artista mi lascia qualcosa dentro, e così ricordo ancora l’irrequietezza delle opere di Kirchner, la vivacità di Schmidt-Rottluff, i colori contrastanti di Heckel, la grafica di Bleyl, i tratti morbidi di Pechstein, i paesaggi di Nolde.
Ma l’angoscioso cambiamento dell’epoca finisce per travolgere le stesse persone che per prime lo avevano percepito, siamo “alla fine del ponte” e nel 1913 il movimento si sfalda, travolto dalle incomprensioni interne.
Arte per capire, interpretare, vivere.
La Grande Guerra alle porte se, dapprima, viene vista in chiave euforica, come momento di rinascita per molti di loro, al termine lascia spazio solo all’orrore, inciso per sempre nei loro occhi e nel loro cuore. Alcuni abbandoneranno la pittura per sempre, per altri sarà lo sfogo delle loro ossessioni interiori. La furia nazista cancellerà per sempre molte delle loro opere, “uccidendoli” una seconda volta.
Esco riflettendo tra me e me sul viaggio interiore appena vissuto; questa mostra ti resta dentro se la si prova a capire, interpretare, vivere.
Ma un grosso cartellone mi riporta alla realtà: dal 3 ottobre al via una nuova mostra di capolavori: questa volta il viaggio partirà dagli impressionisti per arrivare a Picasso; mi fermo, apro l’agenda e segno la data.
E ricomincio a fantasticare.
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